Dal 24 novembre si applicano nuove regole per la mobilità dei professionisti intellettuali nell’Unione Europa. In quella data è entrato in vigore il decreto legislativo 206 del 9.11.2007 (GU 9 novembre 2007 S.O. 228) che ha recepito in Italia la direttiva 2005/36/CE. La direttiva ha consentito il riconoscimento delle qualifiche professionali di tutte le professioni intellettuali, tranne quella di notaio.
La professione di architetto e le professioni sanitarie avevano già conseguito il riconoscimento europeo sin dagli anni 80. Le preesistenti disposizioni sono state incluse nella nuova direttiva. La direttiva del settore architettura dell’anno 1985, è stata abrogata e di conseguenza non è più applicabile il relativo decreto di recepimento in Italia, DLgs 129/1992. Questo è da considerare implicitamente abrogato, anche se non è stato formalmente cancellato perché alcune parti minori dello stesso sono ancora applicabili. Le condizioni di mobilità degli architetti pertanto non hanno subito sostanziali modificazioni. Le norme specifiche per gli architetti sono contenute nel DLgs 206/2007 negli articoli da 52 a 58.
Gli architetti che intendono svolgere la propria attività in un altro Paese dell’Unione Europea continueranno a fruire del riconoscimento automatico dei propri titoli. L’art.52 del DLgs 206/2007 ha confermato quasi letteralmente i requisiti per la formazione dell’architetto contenuti negli 11 punti della abrogata direttiva 85/384/CEE.
La direttiva 2005/36/CE definisce con semplicità l’attività professionali dell’architetto con l’art.48 “Ai fini della presente direttiva, le attività professionali di architetto sono quelle abitualmente esercitate con il titolo professionale di architetto.” Una definizione la cui minimalità è dovuta al fatto che deve essere applicabile a tutti gli Stati membri. Per alcuni Stati, come Italia, Francia e Spagna, solo gli architetti iscritti all’Ordine possono esercitare la professione. Per il Regno Unito chiunque può firmare un progetto ma solo gli architetti possono usare il titolo di architetto, per altri Stati del nord Europa è libera sia l’attività professionale che l’uso del titolo.
Una innovazione non positiva per gli architetti: la direttiva del 1985 aveva istituito presso l’Unione Europea un “Comitato consultivo per la formazione nel campo dell’architettura” che verificava la rispondenza dei corsi di laurea nazionali ai contenuti della formazione stabiliti dalla direttiva architetti. Tale Comitato è stato abolito e sostituito da un “Comitato di regolamentazione” che si occupa di tutte le professioni e che può fare la verifica solo a posteriori e su richiesta. Ne consegue una minore tutela della qualità della formazione degli architetti.
Il decreto prevede all’art.26 che in caso di problemi relativi al riconoscimento di una professione, l’autorità competente debba consultare anche l’Ordine professionale. In caso di professione non retta da un Ordine, devono essere consultate associazioni rappresentative di detta professione. A tal fine vengono indicati i criteri per individuare quale associazione sia rappresentativa della professione. La definizione di associazione professionale dell’art.26 costituisce una anticipazione della riforma delle professioni in Italia. Le associazioni sono molto avversate dagli Ordini che ne temono la concorrenza. Perciò questo punto, in realtà marginale, è l’unico che ha suscitato una accesa opposizione.
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